Tiziano Guardini

L’eco-couture di Tiziano Guardini valorizza gli archivi

E’ stato fra i primi stilisti a credere nella svolta sostenibile della moda, a conciliare etica ed estetica, a sperimentare materiali “buoni” e rispettosi dell’ambiente. La natura è il punto di partenza e di arrivo del suo percorso nella moda consapevole, che lo ha portato alla ribalta nel settembre 2017 con il premio The Green Carpet Fashion Award for best emerging designer e poco dopo con il Peta Couture Award. Niente di più appropriato, perché Tiziano Guardini (ph. S. Cavalli) usa addirittura la seta “non violenta”, Ahimsa o seta di Gandhi, quando cioè la farfalla ha già abbandonato il bozzolo, che non viene immerso nell’acqua bollente.   

Il suo bisogno di riconnettersi con la natura parte quindi anche dai tessuti, come spiega a The Style Lift.

Come ci si può riconnettere alla natura attraverso gli abiti? 

In questi ultimi tempi abbiamo bisogno di recuperare i valori persi e l’abito diventa un elemento di connessione fra l’esterno e l’armonia primordiale della natura. L’abito è come un quadro, un’opera aperta che si arricchisce con progetti di capsule. Alcune continuano senza stagionalità come i capispalla raccontati attraverso tessuti trovati negli archivi delle aziende. L’idea mi è venuta dopo aver visto la mostra nel 2019 alla Triennale “Broken Nature: Design takes on Human Survival”. La natura non contempla il concetto di scarto, ogni elemento è funzionale a qualcos’altro. Perché quindi non valorizzare qualcosa che già esiste, ad esempio i tessuti degli archivi? Un atteggiamento che è proprio delle opere d’arte, che col tempo si rivalutano e diventano senza tempo.  

Anche la moda è arte. Quindi diventa importante il recupero di tessuti d’archivio? 

Per me è importantissimo ridare valore a quei tessuti che sono il risultato di tante energie sia umane, sia creative sia produttive. Per questo la mia capsule collection Ecology of Mind si compone di capispalla che sono pezzi unici accompagnati ognuno da un certificato di autenticità, proprio come avviene per le opere d’arte. Il tessuto mi aiuta in questa sublimazione del capo in una forma d’arte. 

Dove avviene la ricerca?

Ho fatto ricerca fra l’enorme archivio del Gruppo Colombo. Scelgo quei tessuti che mi sono più affini a livello creativo. E’ un dialogo continuo, perché ogni tessuto mi suggerisce una visione. 

Quali tessuti, fibre, filati sono più adatti a questo percorso sostenibile?

Il fatto stesso di recuperare qualcosa che non ha più vita è già un processo circolare, di valorizzazione. Naturalmente, non tutti i tessuti del passato sono di per sé sostenibili. Va da sé che l’abito più sostenibile è quello che c’è già. Quando invece inserisco nelle collezioni tessuti nuovi cerco solo quelli con certificazioni di sostenibilità o mi rivolgo ad aziende che si impegnano in questa direzione, ad esempio Lampa che fa accessori come i bottoni con materiali di recupero. Quindi mi muovo fra questi due poli: da una parte i materiali di recupero, dall’altra tessuti nuovi ma organici, cruelty-free, come appunto la seta. 

I materiali rigenerati pongono dei limiti alla creatività? 

Da 10 anni ormai mi sento libero creativamente parlando. E’ stata fatta molta strada nella direzione della sostenibilità, ma molto c’è ancora da fare. Quando ho iniziato nel 2011 c’erano solo magliette bianche in cotone organico o in canapa o fibra del latte, ora invece c’è un intero concept sostenibile intorno al quale ruota la collezione. 

The Style Lift

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