LUCA NICHETTO

di Marco Poli

Alla ricerca della “Bellezza in funzione”, tra Venezia e Stoccolma, ha incontrato VITALE BARBERIS CANONICO, la storica azienda tessile biellese e, in occasione della recente Design Week a Milano, ha presentato BemyGuest una serie limitata di lampade vestite con un pezzo unico creato in tessuto Vitale Barberis Canonico dal sarto Antony Knight e ha trasformato la Showroom del brand di Pratrivero in un Whisky Bar all’inglese…

A Luca Nichetto (in foto) abbiamo chiesto di raccontarci di lui e di illustrarci la genesi del progetto.

Stoccolma e Venezia sono due città sull’acqua, in contrapposizione tra razionalità e minimalismo nordici e arte rococò e barocco. Per un designer come lei, è possibile trovare sintesi estetica e ispirazione tra questi opposti? 

Sono veneziano, per la precisione di Murano, non potrei mai vivere in una città senz’acqua, elemento fondamentale per me. E l’acqua è l’unico elemento in comune tra le due città. Venezia con i suoi pro e contro ti infonde comunque bellezza “estetica” e, anche inconsapevolmente, l’ambiente circostante  ti influenza in molti modi. Stoccolma ha una sua bellezza completamente diversa e in alcune circostanze o luoghi è addirittura brutta, di un brutalismo sovietico. Una architettura socialista che si ripropone anche in nuove costruzioni dove traspaiono uno spirito e uno stile “sociale”. E poi Venezia è Venezia, è Las Vegas prima di Las Vegas! Il Modernismo in Svezia veniva chiamato Funzionalismo.

A proposito, ho letto che lei e il suo Studio, siete alla ricerca della “Bellezza in funzione”. Questo è un tema importante poiché un oggetto funzionale e utile non deve essere necessariamente brutto, banale. E mi viene spontaneo il paragone con il tessuto, progettato e realizzato innanzitutto con la funzione di coprire, di vestire e riparare il corpo dal freddo e dal caldo…  nel caso di Vitale Barberis Canonico il tessuto è però molto bello, di qualità e sofisticato. Lei trova affinità tra bellezza in funzione e bellezza del tessuto in funzione? 

Certamente, è un retaggio che per noi italiani viene dal Rinascimento. In generale, penso che nel mondo creativo che si può definire come design, moda, artigianato, arte, l’aspetto della funzione risolve innanzitutto  un’esigenza. Se poi l’oggetto ha anche un aspetto estetico e ha la forza di creare una sorta di empatia con chi lo utilizza, ecco, si ottengono dei valori che vanno oltre alla questione della funzionalità e si stabilisce un legame speciale e materiale con quell’oggetto, che senti di amare. Lo stesso vale per il tessuto.

Si è trovato a suo agio con questi tessuti di Vitale Barberis Canonico?

Sì, assolutamente a mio agio. Ho un certo “legame” poi, con il tessuto. Mia moglie è una sarta, ha lavorato come cartamodellista per la più antica sartoria che c’è in Scandinavia: A W Bauer & Co. 

Oggi lavora come responsabile per i costumi teatrali dell’Opera di Stoccolma. Il tessuto per me è quindi proprio un “matrimonio” (sorride ndr.). Anche come designer, quando progetto un oggetto tessile, divani e sedute, il tessuto è il vestito di quell’oggetto. Se uso un tessuto, anche in ambito contract, che costa 5 Euro al metro lineare ho un certo tipo di percezione di quell’oggetto. Quando invece mi imbatto in lane particolari, in sete preziose, l’oggetto che realizzo con quei materiali avrà ovviamente non solo un più alto valore ma darà di sé una percezione più importante. E’ come quando si indossa una giacca acquistata da un brand del fast fashion e quando invece si indossa una giacca, un abito sartoriale o made to measure che accompagna la tua fisicità. Il tessuto, quindi, ha il potere ti cambiare le sorti dell’oggetto e dell’uomo.

Il cartamodello è stato un altro protagonista della installazione e presentazione  BemyGuest che ha realizzato a Milano. Un layout molto impattante innanzitutto per le dimensioni e la quantità dei cartamodelli. Chi entrava nello Showroom era sovrastato da questa “sartorialità” così palese. Cartamodelli realizzati da Antony Knight. Come è nata questa collaborazione?

Antony è una persona speciale e il mentore di mia moglie. L’ho conosciuto a Venezia 20 anni fa. E’ un inglese di origini giamaicane. Arrivato in Italia, a Firenze, ha iniziato a lavorare per Gucci come modellista. Poi ha fatto un percorso e una carriera nell’industria: ha lavorato per Calvin Klein e per Benetton sempre come modellista. Ha cominciato quindi a fare il sarto in quel periodo, viveva a Venezia dove mia moglie ed io abitavamo e dove lo abbiamo conosciuto. Per un certo periodo ha insegnato a mia moglie i trucchi del mestiere.  Poiché ho sempre considerato Antony molto trasversale nel suo approccio alla disciplina ed è sempre stato un creativo ma, non ha mai avuto l’opportunità di realizzare un “suo” progetto, quando si è profilata questa opportunità con Vitale Barberis Canonico, mi è venuta l’idea di creare delle lampade vestite e ho chiamato proprio lui, Antony. 

Lampade-manichini che dovessero essere dei personaggi. Antony era l’unico che potesse avvicinarsi alla mia visione e dare personalità ai miei personaggi. 

Quindi i capi sono nati dai cartamodelli di Antony Knight?

Si. Antony ed io abbiamo fatto una fresata di polistirolo scala 1 a 1 per le lampade e abbiamo usato questa fresata come fosse un manichino. Quindi abbiamo scelto il tessuto nelle proporzioni della lampada-manichino per i vari personaggi. Ho dato ad Antony alcuni imput sull’estetica di come avrei voluto questi capi. Gli ho detto: “ vorrei qualcosa di punk, un po’ disruptive rispetto ai canoni della sartoria classica, qualcosa che porti Vitale Barberis Canonico ad uscire dal suo territorio e far capire che questi tessuti possono essere interpretati al di fuori del cliché classico”.

E’ stato il tessuto che ha ispirato il personaggio oppure l’idea del personaggio ha ispirato la ricerca del tessuto?

Questa è stata la genesi del progetto: ci siamo trovati con Francesco Barberis Canonico per un primo meeting nel suo Showroom a Milano. Sono entrato e, vedendo questo grande e bellissimo bar mi è sembrato di entrare in un Gentlemen’s Club di Londra. 

Ho detto a Francesco che mi sarebbe piaciuto un sacco lavorare con una azienda  di grande storia come la loro. Ma, che non avrei voluto utilizzare divani già disegnati da me per altre aziende ricoprendoli semplicemente con un loro tessuto, perché l’avrei trovato un esercizio piuttosto banale. Mi sarebbe invece piaciuto costruire insieme uno storytelling. Questo che vedevo mi sembrava un whisky bar… e ho immaginato dei personaggi che lo frequentassero. Rientrato in studio abbiamo incominciato a ragionare e a pensare chi potessero essere questi personaggi. E da lì tutto è iniziato. Volevo creare quasi la sensazione di entrare in un film di David Lynch. E ora, a posteriori, c’è quasi una sorta di connessione tra una scenografia teatrale e l’ambiente, il mood che abbiamo creato. 

L’idea dei cartamodelli? 

I cartamodelli giganteschi e appesi alle pareti sono nati per due motivi, il primo più pratico: desideravo realizzare un percorso molto chiaro per consentire a chi entrava di lasciarsi il fragore della città alle spalle e di sentirsi immediatamente in un altro ambiente, più intimo,  che ha a che fare con il tessuto e che poi sfociava in un altro ambiente. Una sorta di galleria. Il secondo motivo era quello di creare un elemento molto forte con la sartoria dove si trovano naturalmente cartamodelli e tessuti, un connubio con il craftmanship, l’artigianalità.

Per enfatizzare questo concetto abbiamo dunque giocato con le dimensioni dei cartamodelli. 

Il periodo di pandemia ci ha allontanato da una certa fisicità di relazioni e anche dal touch della materia. Lei è abituato a lavorare con la materia. Si è identificato con un tessuto in particolare?

Ho guardato e toccato moltissimi tessuti ma, non ho fatto in quella fase una scelta dei tessuti. Ho fatto piuttosto una scelta sulla matericità che questi oggetti che disegnavo dovevano avere. Ad esempio, il corpo di queste lampade è in resina laccata e la testa in vetro soffiato di Murano, lampade che ricordassero una figura antropomorfa.  Ho immaginato immediatamente materiali super glossy che contrastassero con la matericità del tessuto per far sì che il tessuto “venisse fuori” proprio per contrasto visivo e per riflessi diversi. Abbiamo quindi lavorato con Vitale Barberis Canonico per identificare quali tessuti fossero disponibili e quali potessero essere interessanti per sviluppare palette colori, codici colori in abbinamento con i nostri mobili. Abbiamo identificato insieme un moodboard di colori e fatto una ricerca dei tessuti più idonei.

Una volta identificati, abbiamo lavorato su una macro-selezione e l’abbiamo inviata ad Antony che, in base al personaggio da vestire e alla sua visione creativa ha poi selezionato i tessuti che potessero funzionare al meglio. Direi che il mio ruolo qui è stato quello di un direttore d’orchestra che ha lasciato i musicisti liberi di interpretare con la propria sensibilità questo progetto. Le lampade, pezzi unici, sono ora in vendita. Alcune di queste sono rimaste a Vitale Barberis Canonico che le utilizzerà per arredare suoi ambienti.

Luca, in questa circostanza lei ha presentato anche il suo Libro NICHETTO STUDIO – Projects Collaborations and Conversations in Design, pubblicato da Phaidon, per celebrare i suoi 20 anni di carriera. Ci parli di questo volume… 

Il libro nasce da un piano e da un’angolatura diverse dal solito. Diciamo che l’ego del creativo c’è ma, non volevo realizzare un volume soltanto celebrativo di quello che ho fatto sino ad oggi. Per quello c’è Google, che dà molte e dettagliate informazioni. 

Desideravo invece proporre un libro dove ci fosse una selezione di personaggi che ho incontrato, che mi hanno affiancato in questi anni. E una serie di aneddoti. Per dare luce non soltanto ai designer, ai titolari, ai ceo e ai marketing manager delle aziende con cui ho lavorato per la creazione di un oggetto ma,  anche a “maestri” e ad artigiani che mi hanno fatto crescere professionalmente e come persona. Abbiamo creato insieme relazioni importanti che mi hanno arricchito e che hanno creato nel tempo uno zainetto dal quale vado a prendere di volta in volta idee e riferimenti quando devo ideare qualcosa di nuovo. 

The Style Lift

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