THE FABRICS’ SOUP

di Marco Poli

DEMNA GVASALIA, il nuovo Re Sole alla Corte di Cristóbal Balenciaga

A Parigi, un viaggio a ritroso: dagli Umanoidi ai fasti della Haute Couture.

Si sa, il vero lusso oggi sono le esperienze e, assistere in presenza alla sfilata-evento-show-installazione-opera d’arte messa in scena da Demna Gvasalia, direttore creativo di Balenciaga (tra i fashion designer più influenti di questi ultimi anni), deve essere stata davvero una esperienza indimenticabile.

Aprono la sfilata BALENCIAGA HAUTE COUTURE A/I 22.23,  total look neri, resi ancora più inquietanti da note ossessive, ripetitive, di archi che scandiscono il passo di “manichini animati-umanoidi”  il cui volto è celato da caschi-maschere nero lucido che ne occultano completamente i tratti e lo sguardo. Abiti, capi Donna e Uomo che evocano un fetish severo e coprente come una seconda pelle. Lo stupore si accentua per il contrasto degli interni total white di un palazzo d’epoca che è stato l’Atelier originario del fondatore Cristóbal Balenciaga, in 10 Avenue Georges V.

Con l’evoluzione della musica classica che diventa sontuosa, solenne e che potrebbe aver accompagnato la vita di Corte a Versailles, per come ci immaginiamo potesse essere,  compaiono i primi abiti, che di pari passo con il crescendo musicale si arricchiscono di paillettes e di luce, di ricami preziosi, di piume, di tessuti in raso, di colore e strascichi e drappeggi, declinati per alcune uscite persino con tessuti in denim e in blend con fibra di alluminio che consentono alle creazioni di assumere forme, di essere plasmate come sculture, i così detti “tessuti con memoria”.

E i contrasti continuano tra le giacche e i cappotti che segnano la rotondità delle spalle e si stringono sul punto vita per poi ampliarsi d’un tratto sui fianchi enfatizzando silhouettes esasperate, a bomber upcycling, parka, trench, cappotti oversize, immensi che celano completamente il corpo umano.

E poi di nuovo la meraviglia: scompaiono maschere e compaiono i volti insieme con gli abiti haute couture della tradizione, se possibile ancora più ricchi, realizzati con tessuti incredibili, anche nei numeri: centinaia e centinaia di metri di tulle, migliaia di perline e paillettes, foglie d’argento, migliaia di ore di lavoro manuale per ogni abito. Sino ad arrivare all’abito da sposa che chiude la sfilata, un capolavoro che probabilmente rimarrà nella storia.

L’effetto wow è amplificato dai protagonisti della sfilata: da indossatrici e indossatori belli e brutti, giovani e anziani, alle “regine”: Nicole Kidman, Kim Kardashian, Dua Lipa, Naomi Campbell, Bella Hadid, Christine Quinn.

E’ andato in scena un “colossal” a Parigi, per ingaggi, cachet, budget, costi di tessuti, materiali e manodopera. L’esercizio di stile, lo sfarzo, il capriccio resi così arte da indossare. Da chi?

Penso agli ospiti della sfilata che, uscendo dal nobile palazzo in Avenue Georges V si sono trovati improvvisamente calati nella vita reale, forse hanno preso il metrò, o un taxi e sono rimasti fermi nel traffico mentre il taxista ha parlato loro di come la vita oggi sia così faticosa, degli sfinenti  turni di servizio per poter raggiungere l’indispensabile budget familiare… uno shock emotivo, per me, sarebbe stato.

In un momento storico in cui si parla ossessivamente di sostenibilità, anche economica, probabilmente abbiamo bisogno anche di queste esperienze per poter sognare.

Penso anche al giusto riscatto di un uomo, Demna Gvasalia e dei suoi faticosi inizi, che, per merito, bravura e visione è salito nell’Olimpo della Moda. Un nuovo Re Sole calato in una scomoda realtà storica:

Maestà, il popolo non ha il pane”… “date loro dei croissants!“

The Style Lift

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