THE HOUSE OF LYRIA
IMMERGERSI IN PROFONDITÀ NELLO SPESSORE DEL SENSIBILE
Intervista a Riccardo Bruni, Founder & CEO di Lyria e The House of Lyria.
di Marco Poli
Riccardo, l’investigazione ostinata alla ricerca della funzione d’uso di un tessuto, non è di casa, da voi. Per THE HOUSE OF LYRIA e LYRIA lasci piuttosto spazio ad incontri inattesi, tattili tra una superficie tessile e l’ispirazione che questa può dare sia a interior designer che a fashion designer. Da dove viene questa tua audace ingegnosità e anche serenità, autorevolezza nel proporre ed essere seguito in questa filosofia, in questo approccio fluido, non convenzionale?
L’approccio di Lyria nasce da una sospensione intenzionale del giudizio funzionale. Non parto mai dal chiedermi “a cosa servirà questo tessuto?”, ma piuttosto “che cosa racconta?”. Ogni superficie, ogni trama, ogni vibrazione ha un potere narrativo che può ispirare mondi diversi: moda, interior, arte. La mia serenità nasce dalla fedeltà a questa visione, che è la sola che riconosco come autentica. È una visione che non impone, ma propone. Non guida, ma accende. Ed è sorprendente quante persone – stilisti, designer, artisti – si lascino guidare da questo modo di pensare e creare, proprio perché sentono che è libero, non codificato. L’autorevolezza, se c’è, deriva forse dalla coerenza con cui porto avanti questa forma di ascolto profondo della materia.
All’alba come al crepuscolo la luce è usualmente propizia all’ispirazione e alla ricerca creativa.
La luce, crescente o decrescente, diventa allora padrona di quel gioco sottile che sfida l’occhio a cogliere le mutevoli sfumature di nuances e di strutture tridimensionali. Eppure, tu hai detto: “devi chiudere gli occhi, toccare un tessuto e poi, con gli occhi chiusi, capirai cosa provi e ti verrà l’idea per cosa utilizzarlo”… quindi, per te, che ruolo gioca la luce nel processo creativo e nel delicato momento della decisione di produrre il tessuto e di presentarlo?
La luce è senza dubbio una complice preziosa, quasi una regista silenziosa che rivela e cela a suo piacimento. Ma il tatto, per me, precede lo sguardo. Quando chiudo gli occhi e tocco un tessuto, entro in una relazione intima con la materia. È in quel buio temporaneo che il tessuto svela la sua voce. La luce, poi, è ciò che permette di condividerne la bellezza con gli altri. È la fase in cui il racconto interiore si fa visibile, si mette in scena. Ma la prima scintilla, la vera intuizione, nasce sempre dal contatto. La luce arriva dopo, a celebrare ciò che il tatto ha già intuito.
Della “bellezza dell’imperfezione”, Riccardo, hai fatto la tua cifra stilistica.
In un mondo sempre più alla ricerca di una bellezza stereotipata, artificiale, la vera impertinenza e trasgressione è proporre qualcosa di incompiuto e imperfetto. Quali fibre naturali ti consentono di esprimere al meglio questa filosofia che diventa tensione nel produrre qualcosa di artisticamente originale e oggettivamente bello?
L’imperfezione, per me, non è un difetto ma una traccia viva, un respiro dentro la materia. Le fibre naturali, in questo senso, sono alleate imprescindibili. Il lino, con la sua irregolarità nobile, è uno dei miei linguaggi preferiti. Ma anche la canapa, la lana grezza, i cotoni antichi che trattengono le vibrazioni del tempo. Queste fibre hanno una memoria, una verità, che si oppone all’artificio. Lavorarle significa dialogare con qualcosa che ha già una voce propria. Non si tratta di domare, ma di accompagnare, ascoltare, a volte perfino assecondare l’errore. L’imperfezione diventa allora una firma, un’identità.
Esiste una prova o un tessuto “sbagliato” o tutto, proprio tutto è recuperabile?
Nel nostro linguaggio, il concetto di “sbagliato” non esiste. Esiste ciò che non è ancora compreso. Un tessuto che oggi sembra dissonante può, domani, diventare il punto di partenza per una nuova collezione. Molto spesso i campioni messi da parte tornano alla luce dopo mesi, anni, con un valore rinnovato. È come se avessero bisogno di tempo per trovare il proprio posto. In questo senso, sì, tutto è recuperabile. Basta avere il coraggio di guardare di nuovo, di sentire di nuovo, con occhi e mani nuovi.
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